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Protezione civile privatizzata e polverizzata

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Tratto da ItaliaOggi del 30 Dicembre 2009

La ristrutturazione/privatizzazione del dipartimento della protezione civile è tutta nell’articolo 11 della bozza di decreto legge sulle “Norme urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in Campania e l’avvio della seconda fase nel territorio della regione Abruzzo”. La privatizzazione comporterebbe il passaggio a una società per azione con una gestione autonoma. Tale previsione potrebbe comportare l’esternalizzazione di quasi tutte le attività di protezione civile con effetti sulla trasparenza e la rintracciabilità delle gare d’appalto, sulle attività di previsione e prevenzione dalle calamità che coinvolgono tutto il territorio nazionale, mentre in capo all’attuale dipartimento resteranno compiti di gestione dell’emergenza di pianificazione.

L’obiettivo della riforma della protezione civile è di concentrare la forza del dipartimento della protezione civile sulla sua missione naturale, la prevenzione delle catastrofi e le emergenze dei soccorsi. Tutto il resto dovrebbe essere affidato a strutture più adatte. La prima incombenza di cui la protezione civile dovrà liberarsi è quella della ricostruzione. In caso di terremoto, superata la fase dei soccorsi, bisogna rimettere in piedi le case. Nello schema proposto alla discussione, questi compiti non devono più essere svolti da un’amministrazione pubblica, ma da una società per azioni a esclusiva partecipazione pubblica.

La proposta di riforma sembrerebbe più dirompente di quanto in realtà non sia: verrebbero sì meno profili pubblici rilevanti, quali le regole europee sugli appalti pubblici, il controllo della Corte dei conti, ecc… ma questi aspetti in realtà costituiscono argomenti senza spessore sostanziale considerato che finora, in virtù dell’emergenza, si sono determinati poteri illimitati, discrezione assoluta e operazioni e investimenti al di fuori dei normali controlli. Dunque nulla di nuovo. Semplicemente si continuerebbe a operare in modo pratico ed efficace non in nome (falso) di un’emergenza che al momento della ricostruzione è di fatto “superata”, ma in nome di un’esigenza di efficienza pura che il sistema complessivamente dovrebbe dimostrare per realizzare quanto necessario. Resterebbero tutti i vantaggi di un’amministrazione efficiente che anziché essere imputati ad una situazione d’emergenza potrebbero utilmente essere coniugati con una situazione “normale” in cui bisogna essere efficienti. Il problema di fondo è che in Italia l’efficienza è coniugabile solo con l’oggettiva situazione di disastro e non con una situazione normale.

In questo senso la previsione di una società per azione ad esclusivo azionariato pubblico offre molte garanzie in primis, l’azionariato è solo governativo (non si aprirebbero cioè falle di possibili commistioni); si eviterebbe di ascrivere al bilancio pubblico diretto una miriade di dipendenti impegnati in attività di ricostruzione; si potrebbe chiamare a rispondere la società di possibili inadempimenti o ritardi senza coinvolgere in questo giudizio direttamente il governo.

Tuttavia non tutto è chiarissimo. Occorre che a questa nuova definizione di “emergenza” aderiscono le amministrazioni regionali che in materia hanno competenza concorrente; aderisca la Corte costituzionale che in passato ha autorizzato interpretazioni dell’emergenza più “larghe” di quanto oggi la bozza di riforma propone, che potrebbero invalidare la nuova linea che comporta la cessione di attività pubblica ad una società privata. Certo le regioni potrebbero essere facilmente coinvolte attraverso la costituzione di specifiche società (regionali) operative sul territorio costituite con solo capitale pubblico locale in sintonia con la società nazionale (in tal modo regioni ed enti locali verrebbero adeguatamente coinvolti). Ciò porterebbe davvero un risparmio? Che senso ha costituire in astratto una miriade di società regionali realmente operative in un contesto in cui un disastro potrebbe non esservi mai? E’ necessario valorizzare, o attraverso una sagace e condivisa capacità di lettura le attuali norme sulla competenza in questo settore, riconoscendo in esse la possibilità delle regioni di poter intervenire con poteri normativi immediati, senza attendere i tempi biblici di una normale legge regionale o modificarle in modo certo, attraverso un intervento vero e proprio della Costituzione e degli Statuti regionali, per garantire al livello locale (regionale) una capacità e tempestività d’intervento che oggi non esiste.

Nino Ferrelli

Written by Arcobaleno

gennaio 1, 2010 at 11:48 PM